Dopo la pubblicazione del volume Minoranze in mutamento. Etnicità, lingue e processi demografici nelle valli alpine italiane a cura di V. Porcellana e F. Diémoz (Edizioni dell’Orso, 2014) che presenta la situazione sociolinguistica e demografica delle comunità di minoranza delle valli alpine italiane e le dinamiche socioculturali in atto nelle Alpi, il progetto LIMINAL – Linguistic Minorities in the Alps: Ethnicity, Languages and Demographic Processes intende affrontare il tema della
Continuità e discontinuità nella trasmissione delle risorse in area alpina
La ripresa demografica in atto in diverse zone delle Alpi, legata a fenomeni di immigrazione piuttosto che a un saldo naturale positivo, sta mutando considerevolmente la composizione delle popolazioni alpine, come emerge da numerosi studi, condotti da demografi, geografi e, recentemente, antropologi (Fourny, 1994; Varotto, 2003; Bätzing, 2003; Perlik, 2006; Borsdorf, 2009; Dematteis, 2011; Steinicke et alii, 2011; Bender e Kanitscheider, 2012; Viazzo, 2012; Corrado, Dematteis, Di Gioia 2014).
Come afferma Pier Paolo Viazzo (2012), le vicende demografiche ed economiche che caratterizzano le diverse comunità alpine creano le condizioni che influenzano e determinano le caratteristiche sociali e culturali di un luogo. L’ingresso di nuovi abitanti nelle comunità locali avviene attraverso modalità che ne condizionano i margini di movimento e il peso politico e decisionale all’interno delle comunità e che influiscono sugli elementi che favoriscono, o al contrario disincentivano, la tenuta della comunità stessa.
In questa situazione complessa e fluida, appare legittimo domandarsi chi abbia titolo a apprendere, trasmettere, promuovere e valorizzare le risorse materiali e immateriali. Le indagini condotte sul campo dimostrano che se in passato la trasmissione dei saperi e degli elementi culturali procedeva in senso verticale, dagli anziani ai giovani, oggi essa è sovente extrafamigliare e si attua anche in senso orizzontale o addirittura in senso obliquo, da anziani detentori di saperi locali a giovani neo-abitanti che di queste tradizioni vogliono farsi portatori. In parte, le stesse considerazioni valgono per le risorse di tipo materiale (proprietà fondiarie, immobili o intere borgate) e la loro trasmissione e gestione.
Riferendosi a casi di rivitalizzazione della cultura locale legati proprio a processi di neo-popolamento e apertura verso l’esterno, Enrico Camanni (2010, p. 5) ha sostenuto che nelle Alpi «paradossalmente la sopravvivenza della “tradizione” dipende dalla sua capacità di evolvere e dalla disponibilità a macchiarsi con culture diverse», pena la museificazione o l’estinzione, e a questo proposito ha fatto appello al concetto di creatività: nel mondo alpino «conta e conterà sempre di più la creatività». Le indagini permettono di rilevare divergenze di opinioni riguardo a cosa debba essere trasmesso, da chi e in che modo; queste divergenze – lontano dall’essere un vuoto confronto localista – ricordano almeno in parte un recente dibattito antropologico che ha il merito, a nostro avviso, di avere dato maggiore consistenza concettuale e teorica – valendosi anche di alcuni spunti offerti dalla teoria dei sistemi complessi – a quelle che rischiano altrimenti di rimanere vaghe enunciazioni.
Un’osservazione attenta delle dinamiche in atto in diverse zone alpine ha consentito di individuare una sorta di continuum tra continuità e discontinuità nell’uso e nella trasmissione delle risorse, anche in relazione ai processi demografici. Come suggerisce Mauro Varotto, è necessario ricordare che decremento demografico e spopolamento non sono la stessa cosa e non necessariamente si accompagnano l’uno all’altro. Si possono registrare episodi di decremento demografico senza spopolamento o abbandono, così come fenomeni di abbandono senza decremento demografico o movimenti anagrafici percepibili (Varotto, 2003). E ciò incide in modo determinante sull’uso delle risorse da parte di chi resta o di chi torna.
La discontinuità non è da ricondursi sempre (o solo) ad un cambiamento nelle risorse, quanto piuttosto a differenti modelli di selezione delle risorse operati dalla comunità in momenti diversi della sua storia. Questa selezione, unita allo spopolamento che ha toccato le comunità alpine per decenni, lascia quelli che Françoise Cognard definisce “spazi vuoti” (Cognard, 2006) che sono quegli spazi di azione che possono essere riempiti dai nuovi abitanti o dalle nuove generazioni. La continuità può invece essere intesa come la trasmissione di una stessa risorsa anche attraverso una serie di cambiamenti ed innovazioni che consentano alla comunità di “riempire” gli eventuali “spazi vuoti” facendo prevalentemente affidamento sulle proprie risorse economiche, sociali e culturali.
Esempi di continuità e di discontinuità possono essere individuati sotto il profilo linguistico, culturale, nella gestione del territorio e nelle attività economiche locali, nella trasmissione dei saperi legati alle attività tradizionali, nella valorizzazione delle risorse materiali e immateriali. Per rendere conto di questa molteplicità e dei differenti contesti che possono essere interpretati attraverso la chiave trasversale del binomio “continuità/discontinuità” intendiamo coinvolgere studiosi provenienti da ambiti disciplinari diversi, che possano offrire uno sguardo situato e puntuale su un ampio spettro di casi di studio. La raccolta di questi contributi consentirà di restituire una visione d’insieme dei cambiamenti – e delle continuità – che coinvolgono l’arco alpino.